Le nostre Aree di Specializzazione
COS’È‘ LA FISIOTERAPIA?
La fisioterapia permette di ridurre il dolore, recuperare la mobilità articolare e la forza muscolare, l’equilibrio e la coordinazione attraverso l’impiego di tecniche manuali, prodotti funzionali e tecnologie elettromedicali.
Recuperare, mantenere e aumentare il livello di salute e di qualità di vita.
Sono numerosi gli ambiti di applicazione in cui la Fisioterapia può essere utilizzata in modo efficace ed indispensabile. Nel Centro di Fisioterapia Carioni siamo specializzati nelle seguenti aree di intervento:
• Traumi post-operatori, stiramenti, distorsioni, contusioni, tendinopatie, lombalgia (mal di schiena), lombo-sciatalgia (mal di schiena con interessmento del nervo sciatico), cervicalgia, patologie dolorose della spalla e altri disturbi;
• Dimorfismi ortopedici come piede piatto, ginocchia varo o valgo, scoliosi e mal di schiena, che incidono sul sistema muscolo-scheletrico;
• Malattie neurologiche come emiparesi, sindrome del tunnel carpale, morbo di Parkinson, sclerosi multipla e altre, che colpiscono la capacità di equilibrio e di movimento;
• Patologie reumatiche come artrosi, fibromialgia, artrite reumatoide, connettivite, polimialgia e altre(spesso associate a sintomatologie dolore a carico dei distretti interessati como ad esempio la zona lombare ed annesso mal di schiena);
• Edemi, linfedemi, flebedemi, lipedemi (cellulite), situazioni di accumulo di liquidi nel tessuto interstiziali che causano problemi al sistema linfatico e alla circolazione.
SCOLIOSI
La scoliosi consiste nella deviazione permanente laterale e rotatoria della colonna vertebrale alla quale seguono gravi alterazioni estetiche e funzionali, con una frequente sintomatologia dolorosa spesso associata al classico “mal di schiena”. Insorge nel periodo di sviluppo staturale e si arresta quando cessa l’attività delle cartilagini di accrescimento dei corpi vertebrali.
Le scoliosi vengono classificate attraverso vari parametri quali:
• L’età dell’insorgenza della malattia;
• La sede della curva;
• Il grado della curvatura;
• L’età della malattia.
Le scoliosi idiopatiche (causa sconosciuta) sono il gruppo più importante e cospicuo di tutte le scoliosi (88%) e colpiscono con prevalenza il sesso femminile. Le scoliosi congenite (dalla nascita) conseguono a malformazioni. La sindrome della scoliosi può interessare qualsiasi dei tre distretti della colonna vertebrale (dorsale, cervicale, lombare) con la formazione di una curva principale e sopra e sottostante ad essa due curve secondarie, inoltre avviene la rotazione del tratto vertebrale interessato dalla curvatura, deformità del torace (gibbo).
La malattia insorge ed evolve senza dolore ma bisogna fare attenzione ad evitarne un riscontro tardivo è per questo che bisogna fare attenzione alle diverse zone corporee quali:
• Slivellamento del parallelismo delle spalle, le creste iliache,
delle scapole;
• Nelle bambine differenza di volume e livello delle mammelle;
• Asimmetria dei triangoli della taglia;
• Accenno o presenza di gibbo;
• Incurvamento laterale del rachide.
Il trattamento fisioterapico indicato è: per ridurre il dolore e le tensioni muscolari, massoterapia e tecarterapia. Molto importante risulta la chinesiterapia. Negli atteggiamenti scoliotici la terapia consiste in ripetuti cicli di ginnastica e controlli posturali. Nelle scoliosi idiopatiche iniziali è sufficiente il trattamento di chinesiterapia.
Nelle scoliosi idiopatiche più gravi si ricorre all’applicazione di corsetti ortopedici correttivi. È bene sottolineare che gli esercizi muscolari hanno un valore notevole e quindi molto importante unire gli esercizi fisici e la ginnastica respiratoria.
CIFOSI DELLA COLONNA
La cifosi consiste nell’accentuazione della normale curvatura dorsale del rachide.
Esistono cifosi:
• Posturali;
• Congenite (dalla nascita);
• Idiopatiche (causa sconosciuta);
• Acquisite (traumi, infezioni, neoplasie, neuropatie, infiammazioni, distrofie ecc.).
All’inizio le cifosi non danno disturbi funzionali; successivamente, se trascurate, possono dare luogo a dorsalgie (mal di schiena) o cervicoalgie.
Il sintomo principale è la presenza di un gibbo dorsale, più o meno ampio che può presentarsi a diversi livelli.
Altri sintomi sono:
• Appiattimento in avanti del torace;
• Prominenza posteriore delle scapole;
• Proiezione della testa e delle spalle in avanti;
• Rotazione anteriore delle pelvi;
• Prominenza addominale e quindi iperlordosi di compenso.
Nelle cifosi iniziali il trattamento consiste nella applicazione di corsetti antigravitari o di corsetti tipo Boston o Chenou. Nei casi più gravi o trascurati può essere indicata l’applicazione di corsetti gessati correttivi. Nelle cifosi decisamente gravi, generalmente di origine congenita (cifosi superiori ai 50°-60°) si ricorre al trattamento chirurgico. I trattamenti fisioterapici indicati per la cifosi della colonna sono: massoterapia, tecarterapia per il dolore associsto al mal di schiena e le tensioni muscolari e rieducazione posturale / chinesiterapia eventualmente associati a trazioni vertebrali.
ERNIA
Il dolore periferico ossia quello che si irradia in corrispondenza della radice interessata riguarda la radice L5 , la radice S1 e la radice L5 ed S1 contemporaneamente. Se la radice colpita è L5 il dolore si irradia nella zona postero-esterna della coscia, laterale della gamba e dorsale del piede, fino a raggiungere l’alluce. Se la radice colpita invece è la S1 il dolore si irradia nella zona posteriore della coscia, posteriore della gamba e plantare del piede, fino alle ultime due dita del piede. Quando vi è l’interessamento contemporaneo delle radici L5 e S1 dello stesso lato, l’irradiazione dolorosa interesserà contemporaneamente entrambe le zone. Altri sintomi possono essere parestesie (formicolii), alterazioni dei riflessi, deficit del tono muscolare, deficit motori oltre a mal di schiena.
Il trattamento consiste nel riposo a letto, nella terapia medica (antinfiammatori, antidolorifici, miorilassanti, etc.), in una accurata fisiochinesiterapia: nella fase acuta (in cui, come detto, si ouò avvertire anche un forte mal di schiena) si effettua un trattamento del sintomo doloroso tramite tecarterapia, ENF, TENS e terapia manuale per la riduzione delle contratture muscolari. Terminata la fase acuta( in cui l’obiettivo è proprio quello di eliminare il dolore e d il mal di schiena),
è opportuno intraprendere un adeguato programma di chinesiterapia/rieducazione posturale per la stabilizzazione della colonna vertebrale.
Il trattamento cruento è limitato a forme fortemente dolorose che resistono al trattamento incruento e consistono in asportazione dell’ernia attraverso intervento chirurgico o con erniectomia al microscopio operatorio.
ERNIA DEL DISCO
L’ernia del disco colpisce più frequentemente il sesso maschile tra i 35 e i 50 anni, avviene conseguentemente a sollecitazioni anche lievi (alzarsi da una sedia, sollevare un qualsiasi peso, etc.). L’alterazione colpisce in genere l’ultimo disco lombare, meno frequente l’interesse del penultimo (lombocruralgia). È molto rara l’ernia discale a livelli superiori nel tratto lombare. La sintomatologia consiste in: dolore in sede lombare (classico “mal di schiena”), spontaneo, trafittivo, che aumenta alla pressione dei muscoli paravertebrali della zona del disco interessato, contrattura muscolare, rigidità del rachide lombare e quindi limitazione di qualsiasi movimento del tronco; dopo alcuni giorni diminuisce il dolore spontaneo ed il mal di schiena, ma rimane quello locale e quello irradiato all’arto inferiore.
FRATTURE DORSO-LOMBARI
Le fratture dorso-lombari costituiscono circa l’80% di tutte le fratture vertebrali, con il picco massimo che si riscontra, in ordine decrescente, a livelli della I vertebra lombare, della XII vertebra dorsale, della II vertebra lombare. Colpiscono più il sesso maschile e soprattutto nell’età adulta per traumi indiretti che iperflettono il rachide (cadute sui piedi, gravi cadute dall’alto, cadute sulle natiche etc.).
Nell’età senile e in particolar modo nel sesso femminile le fratture si presentano frequentemente con l’avanzamento dell’età. Sono fratture causate non da eventi traumatici ma da rarefazione per osteoporosi, specialmente quelle dorsali. La sintomatologia consiste in dolore locale spontaneo ed alla pressione, rigidità del rachide lombare, contrattura muscolare e deformità (gibbo). Guarita la frattura, la terapia fisioterapica è importante per riprendere il tono della muscolatura e il controllo motorio del rachide oltre che attenuare il dolore associato a mal di schiena: cicli di chinesiterapia.
FRATTURE CERVICALI
Si suddividono in:
• Fratture dell’atlante sono dovute principalmente da sollecitazioni compressive esercitate sul capo. La sintomatologia è dolore, rigidità del capo e nevralgia nella zona del nervo occipitale;
• Fratture dell’epistrofeo sono dovute a una meccanismo di compressione e flessione anteriore del capo, a cui spesso può associarsi una lussazione o sublussazione della prima vertebra. La sintomatologia è dolore, rigidità del capo e nevralgia nella zona del nervo occipitale;
• Fratture delle ultime cinque vertebre cervicali avvengono meno frequentemente delle fratture dorso-lombari ma di contro sono esposte più spesso a complicazioni neurologiche. Avvengono per traumi che tendono a flettere bruscamente e schiacciare il rachide cervicale (es. urto contro parabrezza, tuffi a capofitto su fondali bassi, caduta di gravi sul capo etc.), queste fratture possono anche determinare un restringimento del canale midollare. La sintomatologia consiste in un atteggiamento coatto del capo in flessione, dolore spontaneo che aumenta alla pressione e infine contrattura muscolare (torcicollo).
Guarita la frattura, la terapia fisioterapica è importante per riprendere il tono della muscolatura e il controllo motorio del rachide: cicli di chinesiterapia
OSTEOPOROSI E CROLLI VERTEBRALI
L’osteoporosi è una affezione diffusa dello scheletro, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da alterazioni microstrutturali del tessuto osseo che conduce ad un aumento della fragilità ossea e a un accresciuto rischio di fratture. Le fratture delle vertebre non sono più da considerare quindi come una manifestazione iniziale ma come una “complicazione” di tale patologia.
Si distingue l’osteoporosi primitiva (post-menopausale, senile, idiopatica) e quella secondaria.
La prima è tipica del sesso femminile, in quanto le donne in media vivono più a lungo dei maschi e risentono negativamente degli effetti delle gravidanze e della menopausa sul metabolismo osseo. L’osteoporosi secondaria colpisce di più il sesso maschile, per disordini di tipo metabolico, tossico e genetico.
L’osteoporosi post-menopausale è anche detta di “tipo I”, compare tra i 50 ed i 70 anni e consiste nella perdita di osso e nell’assottigliamento delle trabecole che formano la spongiosa del tessuto osseo. Essa è responsabile degli schiacciamenti vertebrali, in particolare della regione dorso lombare e anche delle fratture dell’epifisi distale del radio (frattura di colles).
L’osteoporosi senile è anche detta di “tipo II” e colpisce generalmente dopo i 70 anni. In questi casi sono tipiche le fratture del bacino, del collo femorale e gli schiacciamenti vertebrali specie nella zona dorsale della colonna con progressiva cifotizzazione del paziente.
Il sintomo principale è il dolore che insorge anche dopo un semplice gesto come uno starnuto o alzarsi da una sedia etc.
Oggi l’osteoporosi è considerata una vera e propria malattia sociale, tra le più rilevanti per il sistema sanitario.
La terapia consiste nel far diminuire il tempo di allettamento del paziente (che spesso porta, tra le altre cose, ad una pesante sintomatologia lombare e dunque al più comunemente consosciuto “mal di schiena”, per ottenere un recupero funzionale il più veloce possibile e prevenire la deformità in cifosi della colonna, tipica di tale patologia. A tal fine è importante intraprendere un adeguato programma di chinesiterapia quando la situazione clinica del paziente lo consente. I traumi vertebrali consolidano in 3 mesi circa con sintomatologia dolorosa (mal di schiena acuto e fitte in prossimità della colonna) presente per i primi 30-40 giorni. Acquista notevole importanza l’utilizzo di corsetti ortopedici. In tutti i casi di frattura, per stimolare il consolidamento dell’osso, può essere indicato l’impiego della magnetoterapia.
CERVICALGIA
Dopo il dolore lombare (mal di schiena) quello cervicale rappresenta la patologia più frequente presa in considerazione dal medico. Vi sono però delle differenze in quanto il dolore cervicale è meno invalidante e si presenta con episodi dolorosi che possono andare dai 2 ai 5 giorni se si parla di soggetti al di sotto dei 30 anni mentre hanno una durata maggiore nelle persone di età avanzata. Nella maggior parte dei casi la cervicalgia è causata da alterazioni locali proprio della regione cervicale.
Le principali manifestazioni possono essere:
• Crisi di torcicollo: che sono molto frequenti nei soggetti tra i 20 e i 30 anni con durata molto breve (3 giorni). Il torcicollo può interessare soggetti aventi lassità articolare oppure essere semplicemente determinato dal freddo. Per il torcicollo da freddo si consiglia calore locale, riposo e antinfiammatorio. Per quanto riguarda il torcicollo da lassità articolare si può ottenere un buon risultato con delle trazioni;
• Spondiloartrosi cervicale: è il caso in cui viene attribuito la maggior parte dei dolori cervicali con associazione di cefalee e vertigini. Tale alterazione è più frequente intorno ai 45 anni e raggiunge il suo picco massimo aumentando di frequenza e intensità intorno ai 70 anni di età. Una delle principali complicanze della spondiloartrosi cervicale è la cervicobrachialgia che risulta molto dolorosa specialmente durante la notte nelle zona della radice nervosa interessata, a cui si accompagnano parestesie e alterazioni di riflessi;
• Iperostosi anchilosante: è un’alterazione frequente della regione cervicale nelle persone di età superiore ai 60 anni. Spesso è silente insorgendo con una forte limitazione della motilità cervicale in tutte le direzioni;
• Artropatia dell’atlante e dell’epistrofeo: tale alterazione non è molto frequente. Di origine artrosica determina una limitazione della rotazione prodotta dalla sindrome dolorosa sottoccipitale.
Possono trovare utilità massoterapia, tecarterapia, trazioni cervicali, TENS, ENF, terapia manuale e chinesiterapia.
Altre patologie del rachide cervicale possono essere dovute da origini viscerali e quindi non da strutture che riguardano direttamente la regione cervicale:
• Cerebropatie;
• Patologie delle articolazioni temporomandibolare e sternoclavicolare;
• Cardiopatie;
• Ernia iatale.
Altre alterazioni cervicali invece possono dipendere da patologie sistemiche di tipo reumatologico:
• Malattia di Paget;
• Artrite reumatoide:
• Spondiliti infettive;
• Metastasi;
• Artrite psoriasica;
• Infezioni faringee.
CERVICO-BRACHIALGIA
Si tratta di un dolore cervicale irradiato lungo l’arto superiore (spalla, braccio, avambraccio, mano), dovuto a ernia discale cervicale o infiammazioni dei nervi del plesso brachiale di varia origine.
I trattamenti fisioterapici indicati sono: tecarterapia, TENS, ENF, terapia manuale (neurodinamica), trazioni cervicali e chinesiterapia
CIFOSI DELLA COLONNA
E’ una sindrome lombare che colpisce specialmente in età adulta causata da alterazioni discali del rachide lombare con sintomatologia (in gergo “mal di schiena”) limitata alla regione lombare.
La patologia si presenta con un dolore spontaneo al livello del rachide lombare che aumenta ai movimenti di pressione ed ai tentativi di mobilizzazione del tronco, contrattura delle masse muscolari paravertebrali e infine rigidità del tronco.
Esistono due forme cliniche: la lombalgia acuta e la lombalgia cronica.
• La lombalgia acuta avviene all’improvviso senza una causa evidenziabile: in questo caso si avverte un forte mal di schiena improvviso, il dolore e la contrattura sono molto forti tanto che anche un leggero movimento come un colpo di tosse o uno starnuto provoca dolore. La sindrome si risolve in pochi giorni con riposo e terapia medica (antinfiammatori etc.);
• Le lombalgie croniche possono essere tali sin dall’inizio oppure secondarie a lombalgie acute.
Il trattamento delle lombalgie acute consiste nel riposo e terapia medica (antinfiammatori, antidolorifici, etc.) e in massoterapia, tecarterapia, TENS, ENF e terapia manuale. Obiettivo primario è appunto quello di alleveiare il mal di schiena e consentire un primo recupero di mobilità lombare.
Nel trattamento delle lombalgie croniche trova indicazione la fisiochinesiterapia associata a rieducazione posturale.
LOMBOSCIATALGIA (MAL DI SCHIENA)
La lombosciatalgia, più comunemente definita mal di schiena è una sindrome dolorosa che dalla zona lombosacrale, si irradia all’arto inferiore, nella zona del nervo sciatico. È espressione di una sofferenza radicolare dovuta da un’alterazione che prende il nome di “ernia discale”.
Molte affezioni possono essere la causa di insorgenza di una lombosciatalgia:
• L’ernia discale;
• L’artrosi;
• Anomalie congenite del rachide;
• Tumori;
• Infiammazioni.
Il trattamento consiste nel riposo a letto, nella terapia medica (antinfiammatori, antidolorifici, miorilassanti, etc.), in un’ accurata fisiochinesiterapia. Ove indicata trovano utilità massoterapia, terapia manuale, tecarterapia, ENF, trazioni lombari, chinesiterapia e rieducazione funzionale.
Il trattamento cruento è limitato a forme fortemente dolorose (mal di schiena non sopportabile) che resistono al trattamento incruento.
LOMBOCRURALGIA
La lombocruralgia è una sindrome che oltre alle strutture discolegamentose del rachide lombare, interessa anche le radici che danno origine al nervo crurale (L3 e L4). Il dolore comincia dalla regione lombare e si estende verso la regione inguinale ed il ginocchio, lungo la zona di distribuzione del nervo crurale.
Questa patologia è dovuta il più delle volte a ernia del disco interposto tra III e IV vertebra lombare e quindi sofferenza della radice L4.
I sintomi più noti sono: dolore, mal di schiena, rigidità e contrattura della colonna vertebrale lombare, irradiazione dolorosa all’inguine, ginocchio e la parte antero-interna della coscia e deficit del quadricipite.
Il trattamento consiste nel riposo a letto, nella terapia medica (antinfiammatori, antidolorifici, miorilassanti, etc.), in una accurata fisiochinesiterapia. Ove indicata trovano utilità massoterapia, terapia manuale, tecarterapia, ENF, trazioni lombari, chinesiterapia e rieducazione funzionale. Il trattamento cruento è limitato a forme fortemente dolorose (mal di schiena non sopportabile)che resistono al trattamento incruento.
SPONDIDOLISI E SPONDILOLISTESI
La spondilolisi colpisce la V vertebra lombare per il 70-80% dei casi, ed è spesso seguita da spondilolistesi. La spondilolisi decorre in maniera asintomatica, rendendosi tardivamente passiva nell’adulto lombalgico. Alcune volte invece, si manifesta con lombalgie recidivanti (spesso secondarie a sollecitazioni come giochi, tuffi ed esercizi fisici) accompagnate da limitazione articolare ed il clasico mal di schiena,.
La spondilolistesi si verifica quando la vertebra lombare non è più unita, e scivola anteriormente e in basso sulla vertebra sottostante. Il fenomeno è alle volte acuto mentre altre volte graduale e si esprime con sintomi di lombalgia (mal di schiena) o lombosciatalgia.
La chinesiterapia e’ indicata per rinforzare la muscolatura stabilizzatrice posturale del rachide, evitando recidive di dolore e mal di schiena,
L’obiettivo primario della Riabilitazione Post-Traumatica è quello di far recuperare al paziente la capacità di svolgere le normali attività a cui era abituato prima dell’evento traumatico verificatosi. Questo particolare tipo di fisioterapia si rivolge infatti a quei pazienti che hanno subito traumi articolari o muscolari a seguito di incidenti di varia natura. I traumi in questione possono derivare da attività sportiva, da infortuni, ma anche a seguito di operazioni chirurgiche che lasciano il paziente con ridotta mobilità (spesso associato a mal di schiena), e necessitano di un’azione fisioterapica volta al recupero della funzione traumatizzata. La riabilitazione segmentaria e globale è rivolta ai pazienti con patologie degenerative acute, sub-acute o croniche.
Il personale del nostro Centro è altamente specializzato nella riabilitazione post traumatica e ortopedica, e svolge la riabilitazione nella palestra dedicata, dove ogni paziente, già indirizzato verso la terapia più indicata dal fisiatra, viene seguito individualmente passo dopo passo, sulla base di un programma di esercizi stilato appositamente dal fisioterapista, su misura per le particolari esigenze del paziente.
Riabilitazione Traumatologica
Tratta le lesioni muscolo-scheletriche (distorsioni, fratture, tendinopatie, lombalgie (mal di schiena), contusioni e altre) causate da infortuni, attività sportive, posture scorrette e altri piccoli e grandi traumi.
Il principale obiettivo della riabilitazione è il recupero della funzionalità del segmento leso affinché il paziente possa riprendere le proprie attività quotidiane in maniera ottimale.
Riabilitazione Ortopedica
Si occupa del trattamento delle patologie ortopediche come piede piatto, scoliosi, ginocchio varo o valgo e altre. L’obiettivo del fisioterapista è diminuire lo stress meccanico del sistema muscolo-scheletrico, riequilibrare i rapporti articolari, ottimizzare e migliorare la meccanica della deambulazione.
Riabilitazione Neurologica
La riabilitazione neurologica prevede la rieducazione di un paziente che ha o ha avuto danni al sistema nervoso centrale o periferico a causa di malattie neurologiche come morbo di Parkinson, sclerosi multipla o a placche, lesioni nervose periferiche come il tunnel carpale e altre. I problemi più comuni includono alterazioni dell’equilibrio e del movimento, incapacità nel camminare, perdita dell’indipendenza funzionale.
A supporto della fondamentale chinesiterapia , può essere associato l’impiego di Tecarterapia, elettrostimolazione, VISS, ENF.
SPALLA DOLOROSA (PERIARTRITE)
Con il termine di spalla dolorosa (o periartrite scapolo-omerale) si comprendono tutte le situazioni in cui vi è un dolore alla spalla dovuto a un’infiammazione che coinvolge i tessuti di natura fibrosa che circondano un’articolazione: tendini, borse sierose e tessuto connettivo. Questi appaiono alterati e possono frammentarsi e calcificare. Questa forma colpisce soprattutto soggetti di età inferiore ai 40 anni ed è molto frequente. Si ritiene che sia provocata dall’insieme di più fattori: traumi o microtraumi ripetuti, disturbi dei vasi sanguigni e di nervi, esposizione al freddo, fattori dietetici o tossici. Si manifesta con dolori sia nei movimenti del braccio sia a riposo, localizzati sulla faccia anteriore ed esterna delle spalle. Con il tempo si possono formare aderenze fibrose che portano al blocco articolare.
I trattamenti fisioterapici indicati sono : terapia manuale, Tecarterapia, Ultrasuoni, TENS, Laserterapia, Onde d’urto.
SPALLA CONGELATA (Frozen Shoulder)
La capsulite adesiva della spalla, detta comunemente sindrome della spalla congelata, è una patologia infiammatoria molto dolorosa, che con il passare del tempo limita progressivamente i movimenti della spalla fino alla sua totale rigidità. È frequente soprattutto nelle donne tra i 35 e i 55 anni.
La malattia non sempre viene diagnosticata tempestivamente: talvolta i sintomi vengono associata a una generica “infiammazione” o più semplicemente a un dolore a livello del collo.
Il ritardo nel corretto trattamento allunga così i tempi di guarigione.
La malattia si sviluppa principalmente in tre fasi:
1. Nella prima fase, che di solito dura tre o quattro mesi, si verifica il “congelamento”, ossia la progressiva perdita di movimento della spalla e un’acutizzazione del dolore;
2. Nella seconda fase, che generalmente dura da quattro mesi a un anno, il dolore diminuisce leggermente ma la rigidità della spalla rimane. Nei casi più gravi si può verificare anche l’intorpidimento della mano;
3. La terza fase è quella di “scongelamento”, che di solito dura da uno a tre anni; è questo il periodo del recupero, totale o parziale, del movimento e del graduale ritorno alla normalità.
Questa condizione si verifica quando la capsula del tessuto connettivo (cioè quella struttura che insieme ai legamenti regola il movimento della spalla) si restringe e si infiamma, impedendo così la normale articolarità. Alcuni studi rivelano che le persone affette da diabete hanno maggiori probabilità di sviluppare questa patologia, ma anche coloro che soffrono di malattie autoimmuni o della tiroide sarebbero maggiormente predisposte alla malattia. Infine potrebbero influire anche le immobilizzazioni forzate per un certo periodo, a seguito di un infortunio o di un intervento chirurgico sia a carico della spalla che della mammella.
Il tempestivo trattamento della malattia è fondamentale per ridurre velocemente il dolore e accelerare il processo di guarigione con il recupero del movimento.
Appena possibile, occorre affidarsi al fisioterapista per il recupero funzionale dell’articolazione e della mobilità: chinesiterapia associata a terapia manuale e tecarterapia.
STIRAMENTI E LESIONI MUSCOLARE
Si tratta di un allungamento improvviso ed eccessivo di un muscolo, con lesione di un piccolo numero di fibre muscolari (stiramento) oppure rottura parziale o completa del muscolo (strappo). E’ dovuto a un trauma provocato da uno sforzo eccessivo o da un movimento brusco. Dà luogo a intenso dolore localizzato, ematoma, impotenza funzionale. Per la sua tendenza a recidivare può costringere lo sportivo ad abbandonare lo sport attivo, per cui è importante e talora indispensabile un trattamento adeguato.
I trattamenti fisioterapici indicati sono : Tecarterapia, Laserterapia, Ultrasuoni, Bendaggio funzionale, Onde d’urto, chinesiterapia e rieducazione propriocettiva.
ROTTURA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI
La cuffia dei rotatori è un complesso muscolo-tendineo costituito dall’insieme di quattro muscoli e dai rispettivi tendini: sovraspinato, sottoscapolare, sottospinato e piccolo rotondo. Questi muscoli con la loro contrazione tonica stabilizzano la spalla impedendone la lussazione (fuoriuscita della testa omerale dalla cavità glenoidea). I tendini piuttosto vasti (circa cinque centimetri) proteggono l’intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la parte superiore dell’omero. Tra i quattro muscoli che compongono la cuffia dei rotatori, il sovraspinato è quello che si lesiona più frequentemente. In realtà quando si parla di rottura della cuffia dei rotatori non si fa riferimento a lesioni di natura muscolare ma tendinea. Il tipo di ferita può variare da un’infiammazione tendinea locale, senza alcun danno permanente, a una lesione parziale o completa che potrebbe richiedere l’intervento di riparazione chirurgica. In entrambi i casi si registrerà un deficit più o meno marcato nella forza di abduzione del braccio. In particolare il soggetto faticherà a mantenere il braccio sollevato lateralmente tra i 60° ed i 120°.
I trattamenti fisioterapici indicati sono: chinesiterapia, Rieducazione funzionale, ginnastica propriocettiva Bendaggio funzionale, Tecarterapia, Laserterapia, Ultrasuoni.
SINDROME DA CONFLITTO SUBACROMIALE
La sindrome da conflitto è una patologia frequente a carico della spalla, dovuta all’attrito della cuffia dei rotatori e della borsa sotto-acromiale contro il tetto coraco-acromiale. Diverse le cause: artrosi dell’articolazione acromio-claveare, calcificazione del legamento coraco-acromiale, anomalie strutturali dell’acromion e disequilibrio muscolare. I sintomi tipici sono dolore sulla faccia anteriore o laterale della spalla che si acuisce nel sollevamento del braccio, deficit del movimento articolare e della forza muscolare.
Sono a rischio di questa patologia le persone di età generalmente superiore a 50 anni, soprattutto maschi, dediti ad attività lavorative o sportive che richiedano il sollevamento frequente del braccio (imbianchini, meccanici, carpentieri) o l’esecuzione di un lancio: giavellotto, tennis, getto del peso.
I trattamenti fisioterapici indicati sono: chinesiterapia, Rieducazione funzionale, ginnastica propriocettiva, terapia manuale, tecarterapia Ultrasuoni, TENS, Laserterapia.
TENDINITE CALCIFICA
Le calcificazioni di spalla sono abbastanza frequenti. Si stima che siano presenti con maggiore frequenza nei pazienti con rottura della cuffia dei rotatori, in coloro che hanno un acromion di forma uncinata, nei soggetti affetti da spalla congelata e più genericamente in coloro che hanno dolore alla spalla. La diagnosi è radiografica e di solito è sufficiente ad evidenziare una calcificazione. La tendinite calcifica é una malattia evolutiva che si instaura nel momento in cui si formano i primi depositi di sali di calcio all’interno del tendine. Successivamente la malattia va incontro ad una fase di maturazione in cui la calcificazione di ingrandisce. E’ in questa fase che vi può essere l’insorgenza di una notevole dolorabilità locale presente soprattutto di notte tale da dare origine al cosiddetto quadro della spalla congelata. In queste condizioni il paziente si trova in estremo disagio, ha dolore acuto, e non riesce minimamente a muovere la spalla.
I trattamenti fisioterapici indicati sono: Onde d’urto, chinesiterapia, tecarterapia
EPICONDILITE
Il “gomito del tennista” è un’espressione che viene comunemente utilizzata per indicare l’epicondilite, un’affezione a carico del gomito dovuta alla degenerazione di un tendine alla sua inserzione ossea sull’epicondilo omerale (piccola sporgenza ossea terminale dell’omero che si trova nel gomito). Questa condizione, che provoca dolore anche molto intenso, è una conseguenza del sovraccarico tendineo dovuto a una continua sollecitazione dei muscoli epicondiloidei (quei muscoli, cioè, che permettono l’estensione del polso e delle dita della mano). La fascia di età più colpita da questo disturbo è quella dai 30 ai 50 anni.
Il gomito del tennista è una patologia degenerativa e di solito è determinata da un sovraccarico funzionale (da un uso, cioè, eccessivo e continuato del gomito). Si manifesta quindi più frequentemente in quei soggetti che, a causa di specifiche attività sportive o lavorative, ripetono frequentemente movimenti che interessano gomito, polso e mano. La condizione può essere provocata dalla ripetizione di movimenti anche leggeri, come l’utilizzo del mouse o la digitazione sulla tastiera del computer.
Il dolore a livello del gomito è il sintomo più indicativo dell’epicondilite. Inizialmente il dolore è circoscritto al gomito, si manifesta quando si compiono movimenti di estensione del polso o della mano contro una resistenza e tende ad aumentare se sollecitato attraverso movimenti che richiedono il coinvolgimento dei muscoli dell’avambraccio. Se l’affezione non viene trattata, il dolore può irradiarsi lungo l’avambraccio e persistere anche a riposo.
Per prevenire lo sviluppo dell’epicondilite è necessario limitare al minimo quelli che sono i fattori di rischio legati allo sviluppo di questa condizione. Tra questi:
• Sovraccarico funzionale dei muscoli e dei tendini del gomito;
• Sforzi eccessivi connessi ai movimenti del braccio, e in particolare del gomito;
• Danni diretti (come i movimenti scorretti o l’eccessiva estensione dell’avambraccio).
Le terapie adeguate sono: onde d’urto, tecarterapia, laserterapia, ultrasuoni, ionoforesi, terapia manuale e rieducazione funzionale dell’arto interessato.
EPITROCLEITE
L’epitrocleite, più comunemente conosciuta come gomito del golfista, è una sindrome dolorosa dovuta generalmente ad un sovraccarico funzionale e/o degenerazione tendinea dei muscoli epitrocleari. Questi sono muscoli interni dell’avambraccio che originano dall’epitroclea e si inseriscono sull’ avambraccio, sul polso e sulla mano. Questi muscoli servono a ruotare all’interno (pronazione) la mano, a flettere il polso e le dita. L’epitrocleite è la causa più frequente di dolore mediale (interno) al gomito. In realtà, nonostante la definizione di epitrocleite lasci presupporre un quadro infiammatorio dei tendini interessati, l’inserzione di questi muscoli subisce frequentemente un sovvertimento della struttura tendinea, chiamata degenerazione angiofibroblastica che comporta uno scompaginamento e una progressiva sostituzione delle fibre elastiche (che compongono il tendine) con un tessuto fibroso più riccamente vascolarizzato.
Il trattamento di questa tendinopatia è diretto alla risoluzione del dolore, che è il sintomo per il quale il paziente affetto da “gomito del golfista” richiede l’intervento medico. L’interruzione dell’attività sportiva o lavorativa che determina il sovraccarico funzionale, l’uso di farmaci antinfiammatori e di presidi fisioterapici, l’applicazione di tutori di neutralizzazione, la crioterapia. In particolare possono essere utili: onde d’urto, tecarterapia, laserterapia, ultrasuoni, ionoforesi, terapia manuale e rieducazione funzionale dell’arto interessato.
TUNNEL CARPALE
Il tunnel carpale è un passaggio stretto e rigido costituito dal legamento e dalle ossa alla base della mano. Al suo interno passa il nervo mediano e i tendini. A volte l’ingrossamento dei tendini o altre condizioni che creano gonfiore restringono il tunnel e fanno sì che il nervo mediano risulti compresso.
La conseguenza è il dolore e una sensazione di debolezza o intorpidimento alla mano e al polso, che si irradiano verso il braccio. Sebbene gli stati dolorosi possano indicare altre patologie, la sindrome del tunnel carpale è la più conosciuta e famosa delle neuropatie, ovvero delle patologie in cui i nervi periferici del corpo umano vengono compressi o subiscono traumi.
I sintomi di solito si manifestano con gradualità, con frequenti bruciori, formicolio o sensazioni di addormentamento misto a prurito al palmo della mano e alle dita, specialmente al pollice, all’indice e al medio soprattutto durante la notte.
Quando i sintomi peggiorano è possibile avvertire un fastidioso formicolio durante il giorno, il dolore si irradia anche nell’avambraccio e si ha una perdita di sensibilità alle dita e una perdita di forza della mano.
Le terapie fisiche consigliate sono: TENS laserterapia, ENF e neurodinamica.
RIZOARTROSI
Si indica la localizzazione della malattia artrosica nell’articolazione basale del pollice.
Si tratta di una condizione clinica molto frequente dopo una certa età che viene spesso sottostimata e banalizzata perché considerata come una condizione legata all’invecchiamento.
Invece, si tratta di una condizione invalidante non solo perché spesso è bilaterale, ma anche perché rende l’uso del pollice, dito principe della funzione di pinza e di presa della mano, doloroso e limitato. I sintomi più frequenti della rizoartrosi sono, inizialmente, dolore alla base del pollice, debolezza dei movimenti e difficoltà ad eseguire le abituali azioni quotidiane.
Nei casi iniziali l’uso di un tutore statico, che mette a riposo l’articolazione determinando quindi una diminuzione del quadro infiammatorio, di applicazioni di terapia fisica come Tecarterapia, ultrasuono-terapia, onde d’urto possono attenuare la sintomatologia. Quando la terapia conservativa non determina risultati duraturi e la limitazione funzionale causa un handicap nella vita quotidiana l’indirizzo è chirurgico.
DITO A SCATTO
La tenosinovite stenosante, comunemente nota come dito a scatto, interessa le pulegge e i tendini della mano, indispensabili per la flessione delle dita.
I tendini funzionano come delle lunghe funi e connettono i muscoli dell’avambraccio alle ossa delle dita. Nelle dita le pulegge formano dei tunnel fibrosi entro cui scorrono i tendini, facilitati dalla presenza delle relative guaine. Le pulegge trattengono i tendini vicino alle ossa con lo scopo di ottenere il movimento di flessione delle dita.
La tenosinovite stenosante si presenta quando nella guaina tendinea si sviluppa una zona di rigonfiamento. Ogni volta che deve attraversare la puleggia vicina al rigonfiamento il tendine viene schiacciato con conseguente dolore e una sensazione di scatto nel dito corrispondente. Quando il tendine scatta produce ulteriore infiammazione e gonfiore; si crea così un circolo vizioso che sostiene l’infiammazione, il gonfiore e lo scatto del dito. Talvolta il dito si blocca in flessione e diventa difficile e molto doloroso raddrizzarlo. Il dito a scatto si manifesta inizialmente con indolenzimento alla base del dito, dove può essere rilevato un piccolo nodulo. L’obiettivo del trattamento è eliminare lo scatto o il blocco del dito e ripristinarne il normale movimento. Il gonfiore intorno al tendine flessore e alla sua guaina devono essere ridotti per consentire un migliore scorrimento nella puleggia. Dal punto di vista fisioterapico, si può tentare con tecarterapia e laserterapia. Non sempre, purtroppo, la fisioterapia ha successo e, in tal caso, è indicato l’intervento chirurgico
PATOLOGIE SISTEMA CIRCOLATORIO E LINFATICO
(Insufficienza Venosa e Linfedema)
Il sistema vascolare (chiamato anche apparato circolatorio o cardiovascolare) è tutto l’insieme degli organi e delle strutture di raccordo del corpo umano deputate al trasporto di fluidi, in particolar modo del sangue. Lo scopo principale del sistema cardiovascolare è fornire alle cellule del corpo tutti gli elementi necessari al loro sostentamento, rendendo quindi possibile l’esistenza.
Nella più ampia accezione, al sistema vascolare si affianca anche quello linfatico, che ha come scopo fondamentale la circolazione ed il drenaggio della linfa, un liquido alcalino debole formato da acqua, proteine, grassi e linfociti, prodotto dagli interstizi degli organi e riversato nel sistema circolatorio sanguigno. Sia il sistema vascolare che quello linfatico sono essenziali per la vita non solo dell’essere umano ma di tutti i mammiferi, e la loro regolare funzione è imprescindibile per assicurare l’esistenza biologica e la buona salute generale del soggetto.
Essendo un apparato quanto mai complesso e in cui giocano un ruolo chiave avanzate reazioni fisico-idrauliche, elettro-motorie e chimico-fisiche, il sistema cardiovascolare è soggetto a numerose patologie, sia agli organi che lo compongono che ai vasi sanguigni che mettono in comunicazione i fluidi. Varie sono le specializzazioni mediche che studiano l’anatomia e le patologie che colpiscono i vasi sanguigni e quelli linfatici; la chirurgia vascolare, la cardiologia, la cardiochirurgia, la linfologia e l’angiologia sono le branche principali, a cui si aggiungono anche le sotto-specializzazioni come la flebologia.
EDEMA
I classici tre stadi dell’edema: primo, secondo e terzo
Per edema si intende il gonfiore di una zona del corpo, solitamente riferita agli arti inferiori. Esistono tanti tipi di edemi, quelli fisiologici e quelli patologici. Gli edemi fisiologici sino quelli che compaiono quando si sta tanto in piedi, durante l’estate, in corso di gravidanza, e nella fase premestruale.
Tutti questi sono edemi transitori che regrediscono spontaneamente.
Vi sono edemi da disfunzione cardiaca, quelli in corso di malattie renali ed epatiche che andranno valutati dagli appositi specialisti.
Gli edemi da disuso interessano tutti coloro che per svariati motivi si muovono poco o non si muovono affatto, le persone molto anziane, tutti coloro che fanno uso di sedia a rotelle, tipo le SLA, la sclerosi mulpipla, le para e tetraplegie, il Parkinson, l’Alzheimer. Infine ci sono il linfedema e gli edemi di natura flebologica.
Il trattamento fisioterapico adeguato è il linfodrenaggio associato a tecarterapia.
LINFEDEMA
Un linfedema agli arti inferiori
Il linfedema è l’accumulo patologico di liquido linfatico nel tessuto sottocutaneo ed è una patologia cronica irreversibile ad andamento evolutivo. La circolazione linfatica inizia dai tessuti più periferici fino a organizzarsi in sottili vasi scorrono vicino alle vene e ha la stessa direzione di flusso dal basso verso l’alto .
L’edema linfatico è caratterizzato da un elevato contenuto proteico: la concentrazione proteica interstiziale determina un‘infiammazione cronica che induce lo sviluppo di un progressivo indurimento dei tessuti esponendo il paziente ad infezioni e a lesioni della pelle. Il linfedema può interessare gli arti superiori, gli arti inferiori, il volto, i genitali, le mammelle e la parete addominale.
Esteticamente il linfedema ha una consistenza dura, la pelle può essere normale, biancastra o arrossata nella parti più inferiori, e ci può essere intensa desquamazione senza però dolore.
Viene distinto in linfedema primitivo (o essenziale) e linfedema secondario:
- Il linfedema primitivo si manifesta alla nascita o nelle decadi di vita successive sino a dopo la settima, a causa di malformazioni congenite del sistema linfatico (mancato sviluppo delle vie linfatiche associate a malformazione dei linfonodi delle principali stazioni linfatiche);
- Il linfedema secondario, largamente il più diffuso, compare in seguito ad interventi di chirurgia oncologica (mammella, utero, vescica, prostata, ecc ecc.), chirurgia ortopedica, in seguito a traumi, a trapianto renale, a radioterapia, ecc ecc.
Il trattamento fisioterapico adeguato è il linfodrenaggio unito a bendaggio linfatico multistrato.
Altre tipologie di patologie curabili attraverso il linfodrenaggio sono: Insufficienze venose (ulcere venose), vasculiti, claudicatio, flebostasi costituzionali, disturbi circolatori a carico del microcircolo, interventi di chirurgia vascolare (stripping, safenectomie)
ALLUCE RIGIDO
L’alluce rigido é una patologia della prima articolazione metatarso-falangea, caratterizzata da dolore nel movimento, formazione di esuberanza ossea (osteofita) e limitazione della flessione dorsale dell’alluce.
Sono state descritte due forme di alluce rigido: la forma acquisita dell’adulto e la forma dell’adolescente o giovanile. La forma acquisita dell’adulto é caratterizzata da alterazioni degenerative diffuse a carico dell’articolazione metatarso-falangea dell’alluce, mentre la forma dell’adolescente si caratterizza per un danno articolare localizzato. Un processo degenerativo localizzato dell’articolazione viene considerata l’eziologia tipica della forma acquisita dell’adulto.
Esiste disaccordo sui fattori predisponenti a tale alterazione; il denominatore comune a tutte le teorie, fino ad oggi, é costituito dal carico aumentato ed eccentrico sulla prima articolazione metatarso-falangea.
I fattori predisponenti per l’alluce rigido dell’adolescente comprendono la testa metatarsale congenitamente appiattita o squadrata, l’osteocondrite e, come nella forma dell’adulto, un trauma acuto o cronico. Infine, possono contribuire allo sviluppo di un alluce rigido un processo artrosico sistemico o un’artrite settica.
I pazienti descrivono spesso un inizio insidioso con dolore correlato all’attività in corrispondenza della prima articolazione metatarso-falangea; le normali calzature non risultano piú comode a causa dell’aumentata massa dovuta allo sviluppo dell’osteofita dorsale.
Si modifica il passo poiché le forze di carico si spostano lateralmente per compensare la limitazione della dorsiflessione dell’articolazione metatarso-falangea.
I segni clinici variano in base alla gravità del processo patologico.
Le radiografie mostrano tipicamente le classiche alterazioni degenerative a carico della prima articolazione metatarso-falangea.
Nelle fasi avanzate della malattia sono necessarie modifiche delle calzature. L’aumento della profondità della punta della calzatura puó contenere l’articolazione aumentata di volume. L’aumento della rigidità della suola può portare alla diminuzione dei sintomi.
Sono disponibili scarpe con suola ed inserti rigidi. Puó essere di aiuto una lamina di alluminio/acciaio leggero o di fibre di carbonio. Quando un paziente usa una scarpa più rigida, si consiglia una suola con fondo a culla o una barra metatarsale per favorire lo spostamento del peso.
I trattamenti fisioterapici indicati sono chinesiterapia associata a tecarterapia.
PIEDE PIATTO DEL BAMBINO
E’ un piede caratterizzato dall’appiattimento della volta plantare normalmente formata dalla forma e dal reciproco incastro delle ossa del piede, dalla maturità del tessuto connettivo costituente capsule e legamenti, e dal perfetto funzionamento di una serie di muscoli chiamati cavizzanti. Quando il bambino inizia a camminare, l’immaturita’ del tessuto connettivo e lo scarso sviluppo dei muscoli permettono un ampia escursione dei movimenti ammortizzanti del piede, con l’appiattimento della volta ad ogni passo.
Questo fenomeno iniziale non e’ un fenomeno di insufficienza ma un importante elemento di apprendimento. La volta che si appiattisce permette infatti di toccare o di sfiorare il suolo ad una serie di elementi riflessogeni posti nella pianta del nostro piede, i quali inviano informazioni cosiddette propriocettive ai centri nervosi che a loro volta azionano per via riflessa spinale i muscoli deputati alla creazione e al mantenimento della volta informandoli della quantita’ e della forma che ad essa devono conferire.
Quando per cause ancora non perfettamente note si verifica un rallentamento o un inceppamento di questi meccanismi, per cui la volta plantare tarda ad assumere la sua forma e dimensione normale o non si forma affatto, ci troviamo allora di fronte ad un piede piatto.
In taluni soggetti, può essere utile la programmazione di un percorso riabilitativo con esercizi adeguati.
TALALGIE
Le talalgie sono disturbi retropodalici, colpiscono prevalentemente il sesso maschile perché portatori di scarpe con tacco troppo basso, e quindi una concentrazione dei carichi sul calcagno. Il dolore è generalmente più acuto al mattino all’inizio della deambulazione e tende ad attenuarsi nelle ore successive, per ripresentarsi nuovamente a fine giornata.
I trattamenti indicati sono laserterapia e tecarterapia, stretching della fascia plantare. In alcuni casi può essere indicata una valutazione baropodometrica per l’esecuzione di eventuali plantari.
DISTORSIONE DEL GINOCCHIO
Per distorsione si intende l’insieme delle lesioni capsulo-legamentose prodotte da una sollecitazione che tende a modificare i reciproci rapporti dei capi articolari. Sono lesioni frequentissime nell’età adulta.
Le distorsioni del ginocchio avvengono frequentemente e si verificano a causa (traumi da sport, da lavoro etc.),che sollecitano l’articolazione al di là dei limiti fisiologici del movimento articolare determinando una vera e propria instabilità articolare, inoltre il loro trattamento tradivo o inadeguato può dar esito ad una grave instabilità cronica del ginocchio. I meccanismi traumatici più frequenti in grado di provocare distorsioni del ginocchio sono il valgismo e rotazione esterna e il varismo e rotazione interna.
Le distorsioni possono essere :
• Distorsione di I° : semplice distensione o distrazione di alcuni fasci dei legamenti interessati;
• Distorsioni di II°: lacerazione legamentosa parziale;
• Distorsione di III°: lacerazione legamentosa totale.
È molto importante la distinzione tra:
• Lesioni periferiche (capsula, legamenti collaterali, etc.);
• Lesioni centrali (legamenti crociati) associate o meno a lesioni periferiche;
• Le lesioni centrali sono le più gravi perché compromettono maggiormente la stabilità del ginocchio.
In molti casi di lesioni capsulo-legamentose del gniocchio può esserci l’associazione di lesioni meniscali.
La sintomatologia si basa su un dolore improvviso conseguente ad un trauma e , spesso sensazione di “crack” e nei casi più gravi il paziente riferisce la sensazione di “ginocchio andato fuori posto”.
Si può rilevare:
• Impotenza funzionale più o meno accentuata;
• Tumefazione del ginocchio;
• Ballottamento rotuleo;
• Impossibilità di estensione completa;
• Dolore spontaneo diffuso e intenso (in alcuni casi può essere assente per via dell’interruzione delle vie sensitive afferenti);
• Dolore alla pressione;
• Instabilità articolare.
L
SINDROME FEMORO-ROTULEA
La sindrome femoro-rotulea è una condizione dolorosa dell’area anteriore del ginocchio, legata al cattivo scorrimento tra rotula e femore. Il dolore, che può essere molto importante, nasce in modo improvviso, talvolta senza alcuna ragione, conducendo anche ad un blocco dell’articolazione di natura antalgica. Il dolore è legato all’infiammazione della cartilagine sia della rotula sia della gronda femorale (condropatia). Tale infiammazione è legata al cattivo scorrimento rotuleo durante la flesso-estensione del ginocchio. In particolare la rotula si “lateralizza”, cioè scorre più sul margine esterno del ginocchio, aumentando l’attrito con il femore.
Tale “lateralizzazione” chiamata anche “iperpressione esterna” o “malallineamento rotuleo” può essere dovuta principalmente a 3 situazioni:
• Ipotrofia del Quadricipite;
• Sovraccarico Funzionale in Flessione del ginocchio;
• Anomalia dell’anatomia della gronda femorale.
L’ipotrofia quadricipitale è la causa che maggiormente conduce a questa Sindrome (90% dei pazienti); viene a mancare, infatti, la forza stabilizzante del muscolo, che per primo si oppone alla lateralizzazione della rotula. Altre volte può esservi una causa legata ad un sovraffaticamento, come in quei pazienti in cui si scatena il dolore dopo una “camminata” in montagna, oppure una sessione sportiva pesante, specialmente se si è praticato uno sport con il ginocchio flesso (es. pallavolo).
In una piccolissima parte dei pazienti il problema può invece essere dovuto ad un’anomalia anatomica della gronda femorale, che è “svasata” e quindi mal contiene la rotula. Questi pazienti in genere presentano anche una storia di ripetute “lussazioni” della rotula, con il ricorso a dolorose “riduzioni” in Pronto Soccorso.
La radiologia convenzionale, eseguita con il ginocchio in flessione, riesce a diagnosticare la sindrome nella gran parte dei casi. La risonanza magnetica (RMN) può essere dirimente nei casi in cui la diagnosi è più difficile, oppure quando si vuole valutare un’eventuale lesione cartilaginea. Anche la TAC viene utilizzata nello studio di questa articolazione. La terapia della sindrome femoro-rotulea è, nella maggior parte dei casi, fisioterapica. Per il dolore, si possono eseguire sessioni di tecarterapia e laserterapia. È necessaria un’accurata rieducazione funzionale del quadricipite, sviluppando in particolar modo il Vasto Mediale Obliquo, che ne è un’importante componente.
Il paziente concluderà la rieducazione con il nuoto a stile libero (non la rana) e la cyclette a sella alta (dolcemente). Può essere consigliato l’uso di particolari ginocchiere rotulee, su indicazione dello specialista ortopedico.
Raramente, e con risultati talvolta insoddisfacenti, il trattamento è chirurgico. La chirurgia viene infatti impiegata nei rari pazienti a cui si è lussata la rotula in almeno un episodio.
GONARTROSI
L’artrosi è una malattia molto diffusa che colpisce vari tipi di articolazioni del corpo umano. L’artrosi del ginocchio (detta, appunto, gonartrosi) è la più comune. La gonartrosi è spesso all’origine di forti dolori e di un’importante limitazione funzionale del ginocchio, a volte ben prima che si manifestino dei segni radiologici. Il principale meccanismo che porta all’artrosi è la degradazione della cartilagine, con conseguente iperattività dell’osso sub condrale (l’osso situato subito al di sotto della cartilagine) e produzione di osteofiti.
Quando insorge l’artrosi si prova dolore, ma la cartilagine non ha recettori del dolore. L’origine del dolore nella gonartrosi sembra provenire dai recettori che si trovano a livello dell’osso sub condrale (la porzione ossea al di sotto della cartilagine, che viene sollecitata direttamente mancando la cartilagine stessa). Detto in altre parole, quando inizi a sentire dolore all’anca o al ginocchio l’artrosi è già arrivata a un livello avanzato.
Tra le cause del dolore al ginocchio colpito da artrosi, poi, ci sono anche l’infiammazione della membrana sinoviale, le lesioni meniscali e i danni periostali.
La gestione ottimale della gonartrosi è basata su sessioni di tecarterapia, ultrasuoni e chinesiterapia. Nei casi avanzati, si deve considerare l’opzione chirurgica.
SINDROMEE DELLA BANDELLETTA ILEOTIBIALE
La sindrome della bandelletta ileotibiale è una lesione da overuse (uso eccessivo) caratterizzata da dolore al ginocchio nella parte laterale, principalmente nella regione del condilo femorale laterale o inferiormente ad esso, soprattutto dopo movimenti ripetuti del ginocchio, in genere durante la corsa o in altri sport come ad esempio nel ciclismo.
Negli ultimi anni è stato riscontrato un aumento di questa sindrome che potrebbe essere correlato al numero crescente di corridori in tutto il mondo.
La fascia ileotibiale è un ispessimento laterale del muscolo tensore della fascia lata della coscia. Prossimamente si divide in strati superficiali e profondi, è ancorata alla cresta iliaca e riceve le fibre dal tensore della fascia lata e dal grande gluteo. La bandelletta ileotibiale è generalmente vista come una banda di tessuto connettivo fibroso denso che passa sopra l’epicondilo femorale laterale e si inserisce sul tubercolo di Gerdy nell’aspetto anterolaterale della tibia. La sindrome della bandelletta ileotibiale è una diagnosi clinica e richiede raramente ulteriori studi ed esami strumentali, anche se in alcuni casi potrebbe essere indicata, ad esempio, la risonanza magnetica per escludere un altro disturbo nella regione coinvolta. Il paziente riferisce dolore laterale al ginocchio localizzato nell’area tra il tubercolo di Gerdy e l’epicondilo laterale.
Il trattamento elettivo per la sindrome della bandelletta ileotibiale nella maggior parte dei pazienti è la gestione non chirurgica.
Il trattamento conservativo prevede diverse opzioni:
- Limitazione o modificazione delle attività: il paziente deve astenersi dall’attività fisica svolta soprattutto nelle fasi iniziali della patologia e fino a quando il dolore non è risolto. Il ritorno all’attività sportiva può avvenire in modo graduale e solo quando non è presente più dolore;
- Utilizzo di ghiaccio potrebbe essere utile nell’alleviare la sintomatologia;
- Fisioterapia: stretching, tecniche miofasciali e articolari sono utilizzate per rilasciare le restrizioni miofasciali nella banda iliotibiale e nelle strutture correlate, recuperare la mobilità delle articolazioni disfunzionali e ripristinare la corretta flessibilità delle strutture coinvolte. Può essere utile l’acquisto di un foam roller per migliorare l’elasticità muscolare e per trattare eventuali trigger point;
- Esercizio terapeutico per il rinforzo dell’arto coinvolto;
- Tecarterapia per migliorare l’elasticità tessutale;
- Onde d’urto: potrebbero essere utili per migliorare la sintomatologia;
- Modifica delle scarpe in caso di eccessiva usura e utilizzo di ortesi al piede.
DISTORSIONE DELLA CAVIGLIA
L’entità della distorsione dipende dall’energia che viene esercitata sulla caviglia, per cui non sempre dipende dal tipo di caduta o dalla velocità della corsa, ma possono concorrervi altri elementi quali il peso del paziente e il meccanismo con cui avviene l’infortunio. Una distorsione provoca una serie di eventi che si susseguono secondo una sequenza piuttosto precisa. Le strutture di sostegno, cioè, si lesionano una di seguito all’altra seguendo un iter che l’ortopedico esplora sin dalla prima visita.
Una distorsione alla caviglia ha luogo quando il movimento dell’articolazione va oltre il suo normale range di movimento. All’origine di una distorsione c’è sempre un trauma: questo può essere dovuto a una caduta, a un atterraggio scorretto dopo un salto o al camminare su una superficie irregolare.
La sintomatologia tipica della distorsione alla caviglia include:
• Dolore nell’area interessata dalla distorsione, che si acuisce quando si sposta il peso sulla caviglia distorta;
• Gonfiore;
• Limitazione nei movimenti.
Nei casi più gravi possono comparire ecchimosi o ematomi.
La base del trattamento consiste in riposo, ghiaccio, elevazione dell’arto interessato, farmaci antiinfiammatori.
Può essere necessario bloccare l’arto interessato dalla distorsione mediante bendaggio o apparecchio gessato.
Dopo il primo trattamento viene impostato un programma di controlli ambulatoriali con la funzione di valutare la progressione della guarigione, richiedere eventuali esami di approfondimento, prescrivere terapie fisiche e impostare il protocollo riabilitativo.
Tra le terapie fisiche che possono venire prescritte: tecarterapia, laserterapia, ultrasuoni. Di fondamentale importanza, sarà la fase riabilitativa, che dovrà includere un programma propriocettivo. Questo, infatti, è molto importante, per recuperare una corretta postura ed evitare sovraccarichi a livello lombare con conseguente “mal di schiena”.
SPINA CALCANEARE E SPERONE CALCANEARE
La spina calcaneare è uno sperone osseo anomalo che si sviluppa nella parte posteriore o inferiore del nostro calcagno. Ha una somiglianza con la spina di una rosa quindi appare molto appuntita. Spesso associata a problematiche del tendine d’Achille, la spina calcaneare è la possibile conseguenza di: lesioni a carico di un tendine o un muscolo del piede, stiramenti eccessivi della fascia plantare oppure strappi ripetuti del periostio del calcagno.
Il sintomo più caratteristico della spina calcaneare è il dolore al piede. Per poter avere una diagnosi corretta, l’esame più importante è la radiografia del piede.
Il trattamento di prima linea è di tipo conservativo. Nel nostro scheletro esistono due tipologie principali di spina calcaneare: la spina calcaneare inferiore e la spina calcaneare posteriore. Come si può intuire dai nomi delle due tipologie, l’elemento che distingue le due condizioni è la localizzazione dell’osteofita sul calcagno.
Nella spina calcaneare inferiore, l’osteofita risiede sulla pianta del piede, al di sotto del calcagno, precisamente a livello del punto d’inserzione della fascia plantare. Nella spina calcaneare posteriore: l’osteofita risiede nella parte posteriore del calcagno, a livello dell’inserzione del tendine d’Achille.
Il lavoro del fisioterapista può rappresentare un rimedio concreto per guarire la spina calcaneare, ed è in grado di migliorare il sintomo fino quasi alla sua scomparsa. Per queste tipologie di trattamento si eseguono delle terapie volte alla riduzione del dolore. Si esegue della terapia manuale volta al rilasciamento delle catene fasciali, quindi allungamento della fascia, ma anche delle terapie dal punto di vista posturale, lavorando con delle mobilizzazioni, massaggio o esercizi come scarico con la pallina da tennis, tutti rivolti a rinforzare la muscolatura e migliorare la mobilità articolare.
Infine l’ortesi plantare sotto al tallone va bene per scaricare la zona del dolore. L’utilizzo di ortesi plantari da inserire nelle calzature di tutti i giorni e non solo, infatti è utile a ridurre la sensazione dolorosa sia in presenza di fascite plantare sia in presenza di problemi al tendine d’Achille.
Per i trattamenti strumentali vi sono delle terapie fisiche che sono davvero molto utili a rinforzare la muscolatura e migliorare la mobilità articolare, come le Onde d’urto, la tecarterapia.
TROCANTERITE/BORSITE PERITROCANTERICA
La trocanterite, spesso definita anche borsite trocanterica, è caratterizzata dalla presenza di dolore nella parte superiore esterna della coscia.
Il sintomo più comune è rappresentato dal dolore nella parte esterna della coscia nell’area dell’articolazione dell’anca. Molte persone descrivono questo dolore come profondo, che in alcuni casi genera indolenzimento o bruciore. Il dolore può peggiorare col tempo, diventare più intenso quando si è coricati sul fianco, in particolare durante la notte. Inoltre il dolore può peggiorare facendo attività fisica ed il cammino può presentare zoppia.
Dal punto di vista riabilitativo vengono utilizzate:
• Tecniche di massaggio per la muscolatura e i tessuti limitrofi;
• Terapie fisiche locali quali tecarterapia e laserterapia ad alta potenza;
• Esercizi riabilitativi distrettuali e globali con finalità di riequilibrio, rinforzo ed allungamento.
TENDINITE ACHILLEA
Tra le tendinopatie più frequenti troviamo quella del tendine d’Achille. Il tendine d’Achille è il tendine più largo e resistente del corpo umano. Anatomicamente collega i muscoli del polpaccio, il soleo ed il gastrocnemio, con la parte posteriore del calcagno.
La tendinopatia achillea si scatena per un sovraccarico funzionale (overuse) e colpisce soggetti che effettuano sport come la corsa, il calcio, la danza. Con il termine tendinite (o peritendinite) è indicato un processo infiammatorio a carico del paratenone, il tessuto connettivo che avvolge e protegge il tendine. Il termine tendinosi indica un processo degenerativo del tendine stesso. Spesso questo processo degenerativo del tendine può essere asintomatico.
La tendinopatia achillea può insorgere nel punto di inserzione del tendine sul calcagno (tendinopatia achillea inserzionale) o nella porzione intermedia, da 3 a 6 cm più in alto rispetto al tallone. Questa porzione di tendine ha una vascolarizzazione ridotta, pertanto è più soggetta ad un processo di degenerazione.
I fattori predisponenti della tendinopatia Achillea sono:
• Sovraccarico funzionale;
• Terreni d’allenamento troppo duri;
• Calzature non idonee;
• Disturbi posturalin (con rischio di blocco dorsale e mal di schiena).
Inoltre la rigidità del tendine d’Achille è un fattore predisponente alla fascite plantare.
Il protocollo riabilitativo del tendine d’Achille mira alla riduzione del dolore e alla rieducazione al carico del tendine stesso. Nella riabilitazione della tendinopatia achillea indispensabile è l’esercizio terapeutico. Il dolore deve essere usato come metro per capire fin quanto il tendine può essere caricato. Gli esercizi di rinforzo in eccentrica sono un punto cardine della riabilitazione del tendine d’Achille. Salti, cambi di direzione e sprint sono da evitare nella prima fase del percorso riabilitativo onde evitare squilibri posturali e sovraccarichi a livello lombare (mal di schiena).
L’utilizzo di terapie fisiche come laserterapia ad alta potenza e tecarterapia è indicato per la riduzione del dolore nel breve periodo. Le onde d’urto sono particolarmente indicate per il trattamento delle tendinopatie. Consigliamo le onde d’urto radiali per il trattamento della porzione intermedia del tendine, mentre le onde d’urto focali sono consigliate per il trattamento delle tendinopatie inserzionali.
FASCITE PLANTARE
La fascite plantare è un’infiammazione a carico dell’aponeurosi plantare (chiamata anche fascia plantare o legamento arcuato).
La fascia plantare è una fascia robusta costituita da tessuto fibroso che origina dal calcagno e si inserisce su tutte le falangi prossimali. Ha un ruolo fondamentale nella trasmissione del peso del corpo durante le fasi della deambulazione. Da un punto di vista anatomico e funzionale presenta una continuità con il tendine d’Achille. Al di sotto della fascia plantare è invece presente il cosiddetto cuscinetto adiposo plantare, un accumulo di tessuto adiposo la cui funzione è quella di assorbire gli urti a cui il piede è continuamente sottoposto.
La causa principale di questa patologia è una degenerazione strutturale del legamento arcuato dovuta a microtraumi ripetuti. Un’eccessiva sollecitazione del tallone può provocare un’infiammazione dell’inserzione dell’aponeurosi plantare.
Un piede eccessivamente piatto o cavo può essere soggetto a episodi di fascite.
Anche una tendinopatia achillea può essere causa dell’insorgenza di una fascite plantare.
Un’altra causa comune può essere l’aumento del chilometraggio senza un’adeguata preparazione.
I fattori di rischio della fascite plantare sono l’età (superati i 40 anni il cuscinetto adiposo a livello della fascia plantare tende a ridursi con conseguente riduzione della capacità di assorbimento dei microtraumi), l’obesità, alcune attività sportive tra le quali il calcio, la danza e la corsa (è un disturbo molto comune nei runner amatoriali), attività lavorative che costringono per molto tempo alla posizione eretta, calzature inadeguate.
Il dolore può insorgere al centro del tallone o della pianta del piede e prolungarsi fino alle dita o risalire fino alla gamba ed interessaare anche la zona lombare (portando al classico mal di schiena) per via di una cattiva postura.
La sintomatologia della fascite plantare è generalmente molto fastidiosa. Il dolore può essere continuo durante la giornata e persino più acuto la mattina, appena scesi dal letto.
Nella fase acuta dell’infiammazione il paziente può trovare giovamento con delle sedute di fisioterapia: trattamenti combinati di laserterapia, tecarterapia e stretching dolce della fascia plantare e del tendine d’Achille.
Nel caso di fascite plantare cronica associata o meno a spina calcaneare si possono eseguire trattamenti con onde d’urto.
METARSALGIA
La metatarsalgia è una sindrome dolorosa che si sviluppa nella regione anteriore della pianta del piede. Il termine metatarsalgia non definisce un processo patologico determinato, ma semplicemente una sintomatologia dolorosa che può comparire come conseguenza di diversi fattori causali.
La metatarsalgia (letteralmente dolore al metatarso) colpisce maggiormente le donne e abitualmente è associata ad anomalie di appoggio delle teste metatarsali; ciò è confermato spesso dalla presenza di callosità plantari in corrispondenza delle teste metatarsali dolorose.
I metatarsi sono costituti da 5 ossa disposte tra le ossa del tarso e le falangi delle dita del piede.
Le ossa del metatarso sono collegate alle dita del piede attraverso l’articolazione metatarso-falangea. Si collegano invece al tarso, regione posteriore del piede che precede la caviglia, per mezzo dell’articolazione tarso-metatarsale.
Le ossa metatarsali presentano due estremità (dette base e testa) e un corpo, di forma prismatica triangolare. Lo spazio interosseo è colmato da tessuti molli. I cinque metatarsi assolvono una funzione molto importante nel sostegno del nostro apparato locomotore e nello svolgimento della corretta funzione motoria del piede.
Le terapie adeguate sono sedute di tecarterapia, laserterapia, ultrasuoni in acqua, terapia manuale e rieducazione posturale.
RIABILITAZIONE DEL PAVIMENTO PELVICO
IL PAVIMENTO PELVICO:
Il pavimento pelvico è un sistema formato da legamenti, muscoli e fasce collocato a mo’ di culla orizzontalmente nella porzione inferiore del bacino, tra il pube ed il coccige. La sua funzione è contenere e stabilizzare gli organi dell’apparato urinario ed escretore, evitando prolassi vescicali (cistocele), uterini (isterocele), intestinali (enterocele) e rettali (rettocele), oltre a rappresentare una base forte ed elastica per consentire i normali ritmi di continenza e svuotamento vescicale e rettale e consentire una attività sessuale normale. Ogni strato muscolare del pavimento pelvico svolge funzioni specifiche:
• Il diaframma pelvico, o strato profondo del perineo, è costituito dall’elevatore dell’ano, un muscolo formato da tre capi chiamati ileo-coccigeo, ischio-coccigeo e pubo-coccigeo. La funzione principale è la contenzione e stabilizzazione dell’intestino;
• Il diaframma urogenitale, costituito dal muscolo trasverso profondo del perineo e dai legamenti pubo-uretrali, ha la funzione di sostenere l’uretra, l’utero e la vagina;
• Lo strato superficiale degli sfinteri, costituito dal muscolo costrittore della vagina, dal muscolo trasverso superficiale del perineo, dal muscolo ischio-cavernoso e dal muscolo sfintere dell’ano. Questo strato è legato alla sfera della sessualità, oltre che essere direttamente responsabile della funzione escretoria.
La riabilitazione del pavimento pelvico è fondamentale nel trattamento di:
• Incontinenza urinaria da sforzo, da urgenza o mista;
• Incontinenza fecale;
• Prolassi di vescica, utero, retto;
• Dispareunia o dolore sessuale;
• Disfunzioni sessuali, come disfunzione erettile ed eiaculazione precoce;
• Dolore pelvico e lombare cronico (mal di schiena).
Occorre precisare che la riabilitazione del pavimento pelvico gioca un ruolo fondamentale:
• Nel pre e post parto, a causa delle grandi modificazioni corporee che la gravidanza comporta (aumento di penso, pressione lombare, mal di schiena etc);
• Prima e dopo interventi alla prostata, alla vescica, all’uretra e all’utero, sia a scopo preventivo che curativo: spesso, infatti, la fisioterapia può aiutare a scongiurare o limitare il pericolo dell’incontinenza e dei prolassi.
In generale, gli obiettivi della riabilitazione del pavimento pelvico sono:
1. Ripristinare l’attività degli sfinteri uretrale e anale, due muscoli che consentono la continenza quando sono contratti e lo svuotamento quando sono rilassati;
2. Normalizzare il tono muscolare del perineo ev itando sovraccarico sulla colonna vertebrale e dolore alla chiena;
3. Ripristinare la coordinazione e la sinergia dei muscoli addominali e perineali;
4. Verificare ed eventualmente correggere la dinamica respiratoria;
5. Consigliare un’adeguata strategia comportamentale minzionale;
6. Consigliare una corretta assunzione di liquidi e alimenti per facilitare il regolare svuotamento di vescica e intestino;
7. Consigliare e addestrare all’utilizzo di ausili terapeutici.
L’incontinenza, o perdita involontaria di urina, è una delle problematiche maggiormente diffuse, sia nell’universo maschile che femminile. La minzione fisiologica, infatti, è possibile grazie alla conservazione della funzione dei meccanismi involontari e volontari che la comandano, oltre che all’integrità anatomica delle strutture. Il meccanismo involontario permette il riempimento della vescica, provocando la distensione delle sue pareti ricche di recettori: questi ci avvertono quando arriva il momento di mingere, dandoci una sensazione di pienezza. Per innescare il meccanismo volontario di svuotamento della vescica i muscoli del pavimento pelvico si rilassano, lo sfintere uretrale si apre permettendo la fuoriuscita dell’urina. Di norma la vescica garantisce un’autonomia di 3-4 ore durante il giorno, che diventa di 7-8 ore durante la notte, permettendo così un riposo notturno non interrotto dalla necessità di urinare. Quando questi meccanismi non funzionano ci troviamo davanti all’incontinenza, che si distingue in:
• Incontinenza urinaria da sforzo, quando la perdita involontaria di urina è presente durante gli sforzi (tossire, starnutire, sollevare un peso, ridere);
• Incontinenza urinaria da urgenza, quando la perdita involontaria di urina è accompagnata da un impellente bisogno di urinare, non ritardabile;
• Incontinenza urinaria mista quando la perdita involontaria di urina è associata ad urgenza e anche sforzi.
I fattori di rischio per l’incontinenza urinaria femminile sono:
• Gravidanza e parto;
• Menopausa;
• Invecchiamento;
• Interventi chirurgici;
• Sovrappeso (sovraccarico lombare / mal di schiena);
• Stazione eretta prolungata.
I fattori di rischio nell’uomo sono rappresentati per lo più da interventi chirurgici prostatici e/o uretrali, a seguito dei quali si può incorrere all’incontinenza urinaria di grado medio-severo. Sono diverse le evidenze scientifiche che attestano un miglioramento dell’incontinenza urinaria, anche nella fase pre-operatoria dell’intervento chirurgico di prostatectomia radicale grazie ad un adeguato trattamento riabilitativo.
La riabilitazione del pavimento consente di curate le svariate problematiche del sistema genito-urinario e colon-proctologico grazie all’utilizzo di diverse terapie manuali e strumentali.
Il trattamento riabilitativo domiciliare si propone di dare una risposta adeguata ai bisogni di salute, di evitare ricoveri ospedalieri ingiustificati, mantenere l’ambiente di vita del paziente e garantire la continuità assistenziale.
Nella definizione di adeguatezza dei vari setting riabilitativi, è necessario definire criteri e requisiti che ne stabiliscano l’appropriatezza d’uso, specificando le informazioni essenziali per tipologia di paziente e ogni livello di assistenza a garanzia della miglior congruità dell’erogazione.
La riabilitazione a domicilio è prevista per le patologie disabilitanti di tipo motorio, patologie in fase cronica, come quelle ortopediche o neurologiche, e si rivolge ai pazienti residenti a Cassano d’Adda e comuni limitrofi che per motivi clinici non possono praticare la riabilitazione in ambulatorio.
In questi casi i terapisti del Centro di Fisioterapia Carioni si recano a casa del paziente per eseguire le attività di riabilitazione. I casi principalmente trattati:
• Esiti di fratture recenti (effetti da allettamento come ad esempio mal di schiena) ;
• Esiti di ictus recenti con emiplegia/emiparesi;
• Patologie neurologiche degenerative, come Parkinson, SLA, Sclerosi Multipla;
• Patologie geriatriche associate a sindrome da immobilizzazione;
• Riabilitazione post interventi protesici.
Le tecniche e i metodi utilizzati dal fisioterapista possono essere utili nel trattamento di una vasta gamma di condizioni muscolo-scheletriche, tra cui gli infortuni sportivi. La a fisioterapia sportiva è una specializzazione in crescita, con varie cliniche dedicate alla prevenzione, diagnosi, trattamento e riabilitazione degli infortuni sportivi.
La fisioterapia sportiva comprende una varietà di servizi offerti da fisioterapisti esperti nella prevenzione, cura e riabilitazione degli infortuni sportivi. Tra gli infortuni vi possono essere:
• Distorsione della caviglia;
• Stiramento della muscolatura ischio-crurale (parte posteriore della coscia);
• Sindrome compartimentale;
• Gomito del tennista;
• Infortunio al ginocchio;
•Dolore lombare o “mal di schiena”.
Oltre a trattare gli infortuni, un fisioterapista sportivo può anche offrire:
• Consigli su come prevenire futuri infortuni;
• Esercizi per migliorare la stabilità del baricentro (evitare sovraccarico lombare e mal di schiena), come base per una buona mobilità;
• Terapia di massaggio sportivo per accelerare il recupero dopo l’esercizio o per prepararsi mentalmente alle attività sportive;
• Controlli per sport particolari, quali il ciclismo o il golf, per valutare eventuali fattori limitanti delle prestazioni e per raccomandare un programma di allenamento progressivo per migliorare le proprie capacità.
Chiunque pratichi uno sport, a qualsiasi livello, può beneficiare della fisioterapia sportiva. Persino i pazienti che non hanno infortuni sportivi possono beneficiare del consiglio di un fisioterapista su come prevenire futuri infortuni, nonché di consigli su come migliorare la mobilità per migliorare le proprie prestazioni. In alcuni casi vi potrebbe essere un problema esistente di mobilità oppure un infortunio correlato allo sport.
La prevenzione consiste nel trattare ogni singolo atleta a livello posturale sia manualmente che attraverso un percorso di esercizi di rinforzo e stretching (fondamentali per elininare sovraccarichi sulla zona lombare, evitando il classico mal di schiena). Questo serve per prepararlo ad eseguire il gesto atletico correttamente e per prevenire appunto traumi e sovraccarichi futuri.
Questa pratica avviene ovviamente solo a livelli agonistici più o meno importanti a seconda dello sport che si prende in considerazione, nelle società dilettantistiche invece gli allievi vengono sottoposti ad allenamenti standard senza tener conto delle differenze morfologiche, posturali, di forza e delle capacità di coordinazione del movimento di ogni singolo individuo.
STRETCHING
Nella fisioterapia come nella preparazione atletica un ruolo importante è ricoperto dalla pratica dello stretching utilizzato per migliorare l’elasticità e l’ampiezza di movimento.
Lo stretching aumenta la mobilità e l’ampiezza di movimento articolare e aiuta a prevenire in parte gli infortuni (quali contratture muscolari, blocchi lombari, mal di schiena etc) se accompagnato da un buon controllo muscolare e da un’adeguata forza. Per fare un esempio se noi allunghiamo troppo i muscoli acquistiamo una buona ampiezza di movimento, ma se questa non è accompagnata da una buona dose di forza e controllo del movimento rischiamo di aumentare il rischio di infortuni invece che ridurlo poiché non sappiamo gestire tutta quella mobilità. Quindi la prima regola è non abusare.
Lo stretching, inteso come allungamento mantenuto di un gruppo di muscoli per un tempo di solito compreso tra 30’’ e 2’, che in gergo si chiama stretching passivo, è consigliabile dopo una sessione di allenamento e non prima. Prima si consiglia di scaldare bene la muscolatura con esercizi di mobilizzazione attiva e dinamica.
Lo stretching aiuta a migliorare la postura soprattutto se effettuato sulle zone che comunemente sono retratte come tricipite surale, ischio-crurali (evitando anticpatici mal di schiena) e muscolatura glutei.